DPO low cost? Peggio per loro!

Che fastidio quei DPO low cost. E lo ammetto: a suo tempo ne avevo parlato anche io. Questi giorni mi è caduto l’occhio su un post di Massimiliano Nicotra, a segnalare un avviso pubblico di selezione per DPO per un gruppo di 8 istituti scolastici con la previsione di questo compenso:

Mi sembra ovvio che uno salti sulla sedia. E diciamolo, un po’ è anche giusto incazzarsi quando si vede lo svilimento di una professione in questo modo. Si spera che il bando vada deserto, ma qualche cosa dice che c’è sempre chi andrà a prestare questo tipo di incarichi. E quindi, qualche considerazione lucida è d’obbligo. In fondo, il dirigente scolastico sta facendo un ottimo affare. Mentre un po’ meno lo fa il DPO, o probabilmente la società di servizi che andrà ad accettare l’incarico dal momento che è più che prevedibile che le spese supereranno gli introiti. Eppure, l’oggetto è chiaro e richiama finanche l’art. 39 GDPR. Nessun costo occulto di attività, tutto è presentato in modo estremamente chiaro. C’è solo un compenso irrisorio che campeggia e attira inevitabilmente un sospetto circa il poco valore percepito della funzione ricercata. Ma tale compenso, se viene accettato, vale come corrispettivo per l’attività. Anche se spiacevole.

Cosa dovrebbe fare il designante col DPO low cost.

Che cosa si spera che faccia il designante con il DPO? Farlo lavorare. Con tutte le responsabilità del caso, ivi incluso l’inadempimento in danno qualora si rifiuti di ottemperare all’assolvimento dei propri compiti.

Dire: “Non mi pagano abbastanza per tutto questo” appartiene al novero dei b-movie polizieschi, e solitamente viene detto dall’agente prossimo alla pensione che fa una brutta fine. Nel caso di un incarico professionale per cui vengono richieste – come lo sono in questo caso – competenze specialistiche ed esperienza, il destinatario è tutto fuorché una parte debole o poco informata del rapporto che si va ad instaurare. Chi vuol esser lieto, sia: di sinallagma v’è certezza. Al più, il DPO designato potrà richiedere un budget o delle risorse a supporto della propria attività invocando l’art. 38 GDPR. Salvo che lo stesso però non abbia garantito di essere in grado di svolgere pienamente i propri compiti entro i limiti dello stanziamento indicato come retribuzione. In questo caso allora ciò sarà possibile solo in caso emergano nuovi elementi da cui si possa oggettivamente evincere questa necessità imprevedibile al tempo della contrattazione. Insomma: messa così non è certo una vita facile per chi si fa designare a basso costo. Vero è che deve trovarsi dall’altro lato chi conosce il ruolo, ma per quanto ciò appaia improbabile nell’ipotesi di taluni bandi e avvisi, è un rischio tutt’altro che inconsistente.

Il tempo sarà galantuomo?

Forse il tempo sarà galantuomo, ma purtroppo il dumping di mercato è stato attuato in modo piuttosto spietato dal 2017 ad oggi. E questi ne sono gli effetti. E se guardiamo all’orizzonte, non troviamo molte rassicurazioni. Il problema maggiore di queste pratiche è che vanno a costituire un ostacolo per l’ingresso dei newcomers, facendo così abbandonare già negli intenti una professione. Ancor più poi comporta un rischio che andrà in conto agli interessati, i quali certamente potranno coltivare le proprie pretese risarcitorie già nei confronti dell’organizzazione designante ma solo dopo aver subito una violazione dei propri dati personali o la compromissione dei propri diritti.

E dunque, cui prodest? In questo schema che potrebbe richiamare una derivazione del teorema di Nash in salsa privacy, abbiamo solo il designante che potrebbe guadagnare per sé e per gli interessati qualora andasse a pretendere dal DPO l’adempimento dei suoi compiti. Tutti gli altri scenari, invece, incontrano degli scenari tutt’altro che desiderabili.

La privacy spiegata bene e fatta meglio. Artigianale. A misura d’uomo.

Servizi

DAL BLOG